ANCONA – Avvistato Ufo sul Monte San Vicino (Macerata). La scorsa notte, intorno alle ore 23,30, alcune persone hanno notato una luce di colore rossastro in cielo, sopra le montagne a nord del monte San Vicino. La luce, che sembrava provenire da est, si è fermata per alcuni minuti sulla verticale di Poggio San Romualdo e Pian dell’Elmo, ad un’altitudine stimata intorno ai 2.000 metri. Ad un’osservazione con binocolo, l’Ufo sembrava avere una forma lenticolare ed emanava dei bagliori rossastri. La zona del monte San Vicino non è comunque nuova a questi avvistamenti. Anche nel 2011, alcuni testimoni avevano notato una luce di colore rosso che si muoveva sopra il monte Mondubbio a sud del monte San Vicino.
Siamo a ROMA CAPITALE
Ancora un caso di oggetti non identificati (meglio conosciuti come Ufo) nei cielo di Roma. A riprendere alcune luci che si muovevano in modo anomalo ieri un ragazzo durante la conferenza ufologica alla Garbatella organizzata da Danilo Iosz e da Massimiliano Buttarelli del Gruppo Skywatcher Romano, che ha visto la partecipazione anche di due esperti come Ivan Ceci e Maurizio Baiata. Durante l’intervento di quest’ultimo l’avvistamento, avvenuto in modo del tutto casuale. Ben otto gli oggetti avvistati, che prima si muovono in maniera ordinata, poi si uniscono per formare una figura, prima di scomparire alla vista. Un fenomeno che è durato qualche minuto ma che viene già ritenuto un documento eccezionale dagli esperti del settore. Lo scorso dicembre un avvistamento era stato fatto a Ostia la sera, mentre pochi mesi fa ancora uno proprio nella Capitale.
AREA 51
Tutto quello che ci hanno sempre nascosto sarà svelato prossimamente dalla troupe televisiva di Peter Yost che ha avuto accesso alla base segreta americana e promette si svelarci cose incredibili. Ufo? Alieni? Entro la primavera la risposta.
Area 51: si tratta di una vasta zona militare super-segreta controllata dalle forze armate statunitensi, che si estende per circa 26 mila km2 all’interno del territorio desertico di Groom Lake, detto anche Dreamland (la terra del sogno), nel sud dello Stato del Nevada. La base ha livelli di sicurezza da film di fantascienza, con sensori di movimento, telecamere, controlli satellitari, uomini armati, missili superficie-aria, disseminati un po ovunque lungo il suo perimetro, per impedire l’accesso del personale estraneo e il sorvolo dello spazio aereo da parte di aeromobili non autorizzati. Proprio per questi standard così rigidi, la base aerea Nellis non compare sulle cartine geografiche. Ma cosa accade all’interno dell’area 51 da richiedere una così grande discrezione, inducendo, in passato, il governo americano a sconfessarne addirittura l’esistenza?
Qui è stato concepito, ad esempio, il famigerato bombardiere supersonico Stealth-B2, l’aeroplano realizzato con materiali compositi a base polimerica unitamente a rivestimenti superficiali radar-assorbenti, che lo rendono impercettibile o difficilmente individuabile da molti strumenti di localizzazione, inclusa la vista.
La notizia ancora più riservata, da sempre sulla bocca dei curiosi, è che la base venga impiegata per concepire velivoli non convenzionali, funzionanti con generatori ad antimateria asportati da alcune navicelle extraterrestri catturate in seguito a crash, che permetterebbero di attraversare le barriere spazio-temporali a velocità uguali o superiori a quelle della luce! Robert Scott Lazar, un fisico americano che ebbe modo di lavorare all’interno del sito, affermò di aver visto all’interno dei dischi volanti con caratteristiche sorprendenti: cabine di pilotaggio molto piccole che avrebbero potuto ospitare a malapena un bambino e in nessun caso un uomo adulto, velivoli costruiti con materiali sconosciuti sulla Terra e privi di punti di saldatura, come se l’intero chassis fosse stato fuso all’interno di uno stampo. A ciò si aggiungono le testimonianze di alcuni ex dipendenti, che affermerebbero di aver lavorato a contatto con esseri alieni per lo sviluppo di queste nuove tecnologie e i numerosi avvistamenti giornalieri che i turisti e le equipe televisive di tutto il mondo, hanno immortalato in questi anni con le loro videoriprese e foto.
AREA 51 – ZONA S4
Situata all’interno della base aerea USAF di Nellis, sul lago prosciugato Groom nel deserto del Nevada, esiste una zona a elevatissima sicurezza chiamata Area 51 della quale fino a pochi anni fa si negava l’esistenza. Stando ad alcune testimonianze di persone che vi hanno lavorato, in quella base si sviluppano prototipi di velivoli con sistemi di propulsione avanzatissimi. Negli anni 50 furono sviluppati gli aerei spia U2 e SR-71 e negli anni 80 la tecnologia Stealth per rendere i caccia militari invisibili ai radar.
Una porzione ancora più riservata dell’Area 51 viene denominata S4 (Side 4) a 15 km di distanza, direzione sudovest, nel lago Papoose. Bill Kaysing, nelle varie edizioni del suo libro Non siamo mai andati sulla Luna, nomina sovente l’area S4, dentro l’Area 51, come possibile sito in cui furono inscenati gli sbarchi sulla Luna e prodotte le immagini e filmati presunti “lunari”. Sappiamo che Kaysing, stando alla testimonianza di Charles Ellery, ebbe una lunga conversazione telefonica con l’astronauta Jim Irwin che era intenzionato a svelare la verità sugli allunaggi. Jim Irwin morì improvvisamente 4 giorni dopo senza potere rivelare null’altro.
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I Misteri dei Templari in Umbria
Perugia: La costruzione della Chiesa di San Bevignate, “Chiesa Mistica” presso Perugia, iniziò verso il 1256 e si concluse, probabilmente, nel 1262, ad opera dei Cavalieri Templari. La sua dedicazione è al santo eremita Bevignate, il cui culto era allora molto diffusi tra i perugini. La sua edificazione avvenne in più fasi; la prima di esse fu avviata dal cavaliere Bonvicino di Assisi, nel 1256. Essa si protrasse fino verso il 1282-83, data in cui era già presente la torre campanaria. Successivamente i Templari annetterono al complesso un altro edificio preesistente, ampliando la costruzione. Non si conosce l’esatta destinazione del nuovo ambiente, ma sappiamo che nel 1277 i Templari furono costretti ad abbandonare l’altra loro sede umbra, quella di San Giustino d’Arna, per rifugiarsi in S. Bevignate, pertanto nacquero sicuramente nuove esigenze abitative.
II 26/5/1389 nei pressi di San Bevignate ci fu una battaglia fra i perugini e le soldatesche di Nostarda, venute a Perugia con il Conte di Carrara. A causa di questa ed altre battaglie, avvenute nei pressi della Chiesa, l’edificio subì molti danni. Nel 1517, per problemi economici, le monache furono costrette ad abbandonare il monastero che ritornò in possesso dell‘Ordine di San Giovanni di Gerusalemme. Il Priore di quest’ordine assegnò il monastero in commenda al Cavaliere Giovanni Benedetto di Averardo Montesperelli, fino al 1860 si susseguirono una serie di commendatari. Con la soppressione di vari enti religiosi la Chiesa divenne proprietà del Comune che l’adibì a vari usi, tra i quali deposito dei libri della biblioteca. La chiesa È stata oggetto di un prezioso restauro nell’ambito del più ampio progetto europeo “Milites Templi” per la salvaguardia del patrimonio templare in Europa. La chiesa non è normalmente aperta al pubblico, se non in occasioni particolari.
San Gemini – Terni: La Chiesa di San Giovanni Battista, a San Gemini (TR), è una costruzione piuttosto complessa ed originale che sicuramente testimonia un lavoro di diversi periodi sulla sua struttura. La parte più antica ed interessante è rappresentata dalla facciata in stile romanico, sita vicino alla Porta Tuderte (l’antica porta Nord del paese), che risale al 1199 ed è opera degli architetti Nicola Simone e Bernardo, come testimonia un’iscrizione sulla facciata. Si nota un elegante portale con due stipiti che poggiano su due leoni accovacciati (foto 1), che richiamano il portale della coeva Abbazia di San Nicolò, alla periferia del paese. La lunetta sovrastante si conclude con due volti barbuti che solitamente, nell’iconografia medievale, rappresentavano il Papa e l’Imperatore (foto 2). Al di sopra si apre una finestra bifora, mentre sul lato sinistro del portale si apre una curiosa finestrella transennata sicuramente originale (foto 3). L’interno, a pianta centrale, risulta più volte rimaneggiato con grandi pilastri ottagonali. Su uno dei due altari si può notare una bella tela rappresentante la Madonna della Cintura e sull’altro lato un’altra tela con la Madonna del Rosario attribuibili rispettivamente a Giovanni Battista Manna e a Simone Cibori del 1618. Vi si trova anche un fonte battesimale del 1600 recentemente restaurato.
Terni: La Chiesa di Sant’Alò è uno degli edifici di culto più antichi e affascinanti della città di Terni. Fu dedicata in onore del santo Aloysius (Eligio), un orafo vissuto nel sec. VI alla corte dei re Merovingi. Fu realizzata nel sec. XII sui resti di un edificio più antico dedicato alla dea Cibele, come sembrerebbero testimoniare i quattro leoni incastonati sulla facciata, che le antiche tradizioni associavano al culto di questa dea, ed apparteneva all’Ordine dei Cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme. Era caratterizzata da una facciata a capanna con la navata centrale più alta rispetto alle laterali e con un’alta torre avente funzione di campanile. La costruzione di un palazzo davanti l’antica facciata, nel sec. XIII, comportò la chiusura della strada che immetteva sul fronte della chiesa e l’ingresso fu spostato sul fianco destro.
Lo spazio interno è ripartito in tre navate tra due file di colonne cilindriche e pilastri, secondo lo stile delle chiese romaniche. Le pareti e le colonne sono fittamente decorate da affreschi che si sviluppano nell’arco dei secoli XII-XVI. Fra i più significativi vanno segnalati quelli della parete d’ingresso tra i quali spicca un frammento di una Crocifissione di notevole interesse per la sua antichità (XII sec.) e gli affreschi dell’antica facciata interna. Là dove una volta si trovava il portale d’ingresso, oggi murato, rimangono motivi ornamentali geometrici che ornano gli stipiti e la superficie inferiore dell’architrave. In essi globi rossi con una croce bianca all’interno si alternano ad Esagrammi con fiori a sei petali al loro interno (foto 5). Al fianco, sul lato destro, un notevole affresco ci mostra due personaggi (foto 6): la figura di un Santo, che regge un ramo di palma verde, accanto accanto a quella di un papa, che regge con la mano destra un bastone pastorale ricurvo e con la sinistra un libro sigillato. Sulla mano spicca un curioso simbolo che ricorda un occhio ma anche il simbolo alchemico dell’oro: un cerchio con un punto interno. Sopra di loro, l’interno di un santuario mostra una sciarpa avvolta su un bastone orizzontale. Anche l’abside, preceduta e raccordata da un vano rettangolare, è completamente decorata ad affresco (foto 7). Nella volta a cupola, un’imponente figura centrale barbuta pone le mani sul capo di una donna inginocchiata ai suoi piedi in atteggiamento di preghiera. Ai lati, sulla sinistra, si nota San Sebastiano, trafitto dalle frecce, ed un altro santo che imbraccia un vessillo. Sulla destra, invece, si riconoscono San Francesco col saio e le stimmate, e Maria Maddalena, che regge in mano una Coppa (non il classico vaso, si noti, ma un calice).
I Misteri dei Templari nelle Marche
Ancona: L’Abbazia di Chiaravalle di Ancona, detta anche Abbazia di Santa Maria in Castagnola, fu fondata secondo la tradizione nel 1172 dai monaci Cistercensi che vi giunsero nel 1147 dall’abbazia di Chiaravalle Milanese, oppure da quella di Locedio (Vercelli). Il luogo in cui venne edificata si trovava in una “selva di castagnola”, un bosco rigoglioso che si estendeva in tutta la bassa vallesina. Nel 1248 l’abbazia ospitava già 40 monaci (oltre ad un numero ancora più grande di conversi e di novizi), e crebbe prospera nei due secoli successivi. Nel 1408, per ordine dell’allora pontefice Gregorio XII, l’abbazia passò sotto amministrazione commendataria e venne affidata spesso a gestori laici, non sempre onesti: da questo periodo in poi cominciò il suo lento declino. Nel 1499, dopo altre difficoltà, i monaci circestensi si ritirarono in Francia per 55 anni, durante i quali vengono sostituiti dai Francescani. Nel 1759 venne fondata la prima Manifattura Tabacchi, centro propulsore dell’economia di tutta la zona circostante, da parte dell’abate commendatario Cardinal Corsini. Questi operò una gestione oculata del patrimonio, ebbe cura dei monaci, autorizzò la coltivazione del tabacco: tutto ciò contribuì alla nascita ed al consolidamento nel tempo della cittadina di Chiaravalle.
La chiesa rappresenta un notevole esempio di architettura cistercense: la pianta è a croce latina e l’interno è suddiviso nelle tre classiche navate. L’edificio ha poi subito numerosi rimaneggiamenti interni, soprattutto nel transetto, nella Cappella del Santissimo Sacramento e negli altari laterali. Anche il grande portale esterno è postumo, e risale probabilmente al XVII secolo. Spicca, invece, sempre all’esterno, il grande rosone centrale (foto 1), sopra il quale corre una serie di archetti ed è aperta una bifora. Una scritta in latino sulla destra del portale d’ingresso (foto 2) ci ricorda la data di costruzione dell’edificio. Il chiostro (foto 3), un tempo annesso all’edificio, oggi rimane esterno e convertito in piazzale ricreativo.
Ai lati del portale d’ingresso, lungo i pilastri, corrono alcuni bizzarri graffiti, tra i quali si nota anche una curiosa figura umana dai capelli dritti: impossibile stabilire a quale epoca risale. Tra i vari segni, e simboli, tracciati, però ne spiccano due che, se non altro, incuriosiscono ed attirano l’attenzione. Il primo (foto sotto, a sinistra) è il ben noto Fiore della Vita, segnalato e ritrovato in molti altri edifici religiosi. L’altro (a destra), invece, è un curioso monogramma di ignoto significato.
San Vittore: L’Abbazia di San Vittore alle Chiuse sorge nel cuore delle Marche, nei pressi di Genga (AN), a ridosso del valico tra le cime rocciose tra le quali, nel 1972, furono scoperte le famose Grotte di Frasassi. Si ha notizia dell’esistenza di un monastero in questa zona dall’anno 1007, quando esso viene citato in un atto come “monasterium de Victorianum”. Il termine “Victorianum”, dunque, viene riportato come riferimento geografico, e non ha nulla a che vedere, alle origini di questo edificio, con il Santo titolare. Il monastero, infatti, era di fondazione benedettina ed in origine era dedicato a San Benedetto. Solo successivamente al Santo di Norcia vennero affiancati il martire Vittore (probabilmente grazie all’assonanza del suo nome con il toponimo), la Vergine Maria, e infine i Santi Biagio e Nicola (due Santi il cui culto era frequentemente associato ad una presenza di Cavalieri Templari; se questo, però, fu il caso dell’abbazia marchigiana, è tutto da scoprire). Nel corso dei secoli, ogni altra dedicazione decadde rimanendo in vigore solo quella a San Vittore, alla quale venne aggiunto il termine “de clausa” o “de clausis” (in italiano, “alle chiuse”) come indicazione della sua posizione a cavallo di un valico sull’Appennino.
La chiesa venne fondata intorno all’anno Mille per iniziativa di una famiglia privata, quella degli Attoni-Alberici-Gozzoni, che donò il terreno privato per la sua costruzione. La sua architettura massiccia e la presenza di due torri, una circolare a Sud ed una quadrata a Nord, la fanno assomigliare più ad una fortezza che ad una chiesa, e non è da escludere che l’edificio possa essere servito anche a scopo difensivo. Si noti l’accostamento di forme nelle due torri (una cilindrica ed una quadrangolare) che richiamano il noto dualismo simbolico del Cerchio e del Quadrato, ovvero del Cielo e della Terra, del Divino e dell’Umano, e del passaggio tra le due dimensioni che viene denominato, simbolicamente, la “Quadratura del Cerchio”. L’abbazia si sviluppò e crebbe prospera durante i secoli XI e XII, ma intorno alla metà del XIII sec. essa entrò nell’influenza del comune di Fabriano e della potente famiglia dei Chiavelli. Ciò segnò ben presto la fine dell’abbazia, che nel 1406 venne infine soppressa e annessa al Monastero di Santa Caterina, presso Fabriano.
Una visita dell’Abbazia regala agli appassionati di simbolismo più di qualche sorpresa. Sopra una delle colonne interne, molto spesse ed a sezione cilindrica, troviamo un graffito ben pronunciato che riproduce un Nodo di Salomone destrogiro a quattro anelli. Accanto ad esso troviamo un altro simbolo non meno interessante: una losanga nel quale sono inscritti otto radiali, che rappresenta una variazione per deformazione del ben noto simbolo del Centro Sacro. La losanga, di per sé, risulta dalla giustapposizione di due ternari, attivo e passivo, che si contrastano e si equilibrano, e rappresenta l’Armonia Universale né più né meno come l’Esagramma, dove invece i due ternari risultano sovrapposti. Ma, in questa particolare configurazione, essi risultano anche come unione di due simboli chiave della fertilità maschile e femminile, la Lama e il Calice, i quali uniti alla simbologia del Centro Sacro la dicono, a nostro avviso, lunga sulle proprietà energetiche di questo luogo. Un altro Nodo, meno definito del precedente, si trova graffito su un’altra colonna confuso tra diversi altri segni.
Nel vano interno di una piccola finestra, sul lato superiore, incontriamo un’altra strana presenza, un simbolo che raffigura un otto rovesciato, una figura cui i matematici diedero il nome di ‘lemniscata’ e che verrà preso, a partire dalla seconda metà del XVII sec., come simbolo dell’Infinito. Ma più anticamente, in epoca coeva a quella dell’abbazia, il simbolo aveva connotazioni più profonde, e costituiva una variante dell’Ouroboros, il serpente che si morde la coda, che spesso era rappresentato nella forma a doppio circolo. Il serpente è un altro noto simbolo delle energie della Terra.
In tempi moderni, qualcuno ha voluto sottolineare ancora di più la valenza simbolica di questo luogo, aggiungendo un quadro che riproduce una Madonna Nera, l’Odighitria.
La statua, collocata in posizione privilegiata al di sopra dell’altare principale, è un’effigie scolpita in legno durissimo, e ricoperta di un sottile strato di gesso policromo. Essa raffigura la Madonna assisa in trono, che indossa un manto di colore azzurro ricoperto di stelle. Il Bambino è seduto sulle sue ginocchia, vestito di una veste di colore rosso che ne sottolinea simbolicamente l’aspetto regale. Il Bambino tiene alzata la mano destra in un gesto di benedizione, mentre Maria lo regge affettuosamente con una mano sulle spalle e l’altra sulle gambe. Lo sguardo della Madonna è distaccato e fisso in lontananza, come quello di tante altre rappresentazioni di Madonne Nere del periodo medievale.
Qui, però, giunge il nocciolo della questione, perché i numerosi censimenti esistenti (cfr. Ean Begg, “Il misterioso culto delle Madonne Nere“) e le tante pagine Internet che ne parlano continuano a classificare la statua di Tolentino come Madonna Nera, mentre risulta chiaro dalle foto che abbiamo pubblicato (risalenti alla data del nostro sopralluogo, Maggio 2010) che la carnagione di Maria, per quanto leggermente brunita dal tempo, appare di un bel colorito roseo. Dove sta, dunque, l’inghippo? Si tratta un errore all’origine delle fonti, che si è perpetuato di citazione in citazione, oppure la statua è stata in qualche modo modificata nel tempo? Un’indagine mirata ha portato alla luce la verità: la statua è stata sottoposta in tempi recenti a restauro da parte della Soprintendenza, la quale ha pensato bene di “sbiancare” il viso e di eliminare ogni riferimento alla Madonne Nere.
Si tratta, sfortunatamente, dell’ennesimo tentativo di coprire o censurare in qualche modo un aspetto peculiare della religione cristiana, che si vuole o si cerca di dimenticare. Le Madonne Nere, per chi se ne intende, rappresentano un insieme di caratteristiche simboliche senza pari, che la letteratura specializzata comincia a divulgare sempre più diffusamente. Si tratta di ipotesi affascinanti, intriganti e magari a volte non sempre rigorose: a cominciare dai rapporti con gli antichi culti pagani della Dea Madre, passando per la tradizione alchemica e finendo in alcune ipotesi piuttosto “eretiche” che coinvolgono un’eventuale discendenza di Gesù da Maria Maddalena. Per coloro che non si occupano di certe tematiche, rappresenta solo un fenomeno curioso, sul quale, al massimo, interrogarsi. Queste domande, in genere, suscitano un certo imbarazzo nei rappresentanti della Chiesa, che notoriamente snocciolano la solita esilarante serie di giustificazioni: improbabili annerimenti localizzati del fumo delle candele, ossidazione delle vernici, invecchiamento del materiale e quant’altro.
I Misteri dei Templari in Abruzzo
Cocullo: Il paese di Cocullo è citato in un documento del 1150-1168 come Cocculum, poi già nel 1188 nella forma più schietta Cucullo. Si dice che questo paese risalga all’epoca romana e, secondo lo storico Strabone, deriverebbe dall’antico cucullus, “cappuccio”, forse come traslato nel senso di “punta tonda”, in riferimento al colle su cui sorge il paese. Cocullo è il centro del culto di San Domenico di Sora, un monaco dell’XI secolo fondatore di vari monasteri nel centro Italia, ed è noto per uno dei riti più singolari che si conoscano, quello praticato dai “serpari”, il primo giovedì di Maggio di ogni anno, in occasione della festa del Santo. In questa circostanza viene portata in processione la statua del Santo, cui sono attorcigliati numerosi serpenti vivi. I “serpari” si tramandano di generazione in generazione l’abilità della cattura dei serpenti. Essi cominciano a catturare questi rettili nelle prime giornate primaverili di sole, quando sono ancora intorpiditi. I rettili catturati vengono poi conservati in vasi di terracotta o sacchi di tela riempiti con terriccio e foglie secche fino al giorno della processione, quando vengono benedette ed offerte al Santo. Il serpente, come immagine concreta e come simbolo positivo, molto più spesso negativo, figura in tutte le culture della civiltà di cui si ha conoscenza o soltanto indizi, dalle più remote alle più recenti: Caldea-Mesopotamica, Paleomessicana, Ebrea, Cristiana.
Situata sulla piazza omonima, la Chiesa della Madonna delle Grazie risale nel suo impianto originario al XIII secolo, più volte modificata in seguito fino alle forme attuali. La facciata è arricchita da un rosone da un architrave scolpito raffigurante l’Agnus Dei e da due statue del XVI secolo, collocate in edicole che incorniciano il portale; quest’ultimo, semplice e lineare, è rettangolare, coronato da una lunetta ogivale, originariamente affrescata. Sul lato destro della chiesa si apre un altro portale rettangolare datato al 1552. L’interno, a navata unica e fortemente modificato nel XVIII secolo, conserva ancora affreschi della fase cinquecentesca raffiguranti la “Crocifissione”, la “Deposizione” e un trittico con Sant’Antonio, Maria Maddalena e Sant’Amico. La facciata esterna della chiesa presenta alcuni simboli molto interessanti. Ai due lati del portale, tra gli stipiti e i pilastri che sorreggono le due edicole, vi sono due sedili in pietra, sui quali sono incisi i simboli della Triplice Cinta Sacra:
Il monumento più significativo di Magliano de’ Marsi, oggi, è la Chiesa di Santa Lucia, la cui costruzione originaria è da attribuirsi al XIII-XIV secolo, quasi sicuramente per opera delle stesse maestranze cistercensi che avevano costruito la vicina chiesa di Santa Maria della Vittoria di Scurcola. Quando, nel XVI secolo, il paese di Magliano diventa indipendente dal vicino centro di Carce, la parrocchia di S. Lucia diventa quella effettiva, andando a sostituire la vecchia parrocchia di S. Martino in Carce. Nel 1570 si trasforma in collegiata, giungendo ad ospitare un abate e sei canonici. Nel 1904 e nel 1915 una serie di terremoto le arrecano enormi danni distruggendola quasi completamente: la chiesa sarà ricostruita soltanto ventidue ani dopo, nel 1937, cercando di restare il più possibile fedeli all’edificio originario. La facciata, in particolare, è stata smontata pezzo dopo pezzo e poi ricostruita fedelmente attraverso la numerazione dei pezzi. La chiesa si presenta con una bella facciata recante tre portali di stile cistercense. Sia la facciata sia l’interno, tuttavia, mostrano la coesistenza di diversi stili. L’interno è suddiviso in tre navate, di cui la centrale risulta essere più alta, delimitate da colonne a sezione rotonda su cui si innalzano archi a sesto acuto poggianti su capitelli diversamente ornati. Il grande rosone centrale, collocato probabilmente agli inizi del Quattrocento, illumina l’aula principale della chiesa. La sua forma è simile a quella del rosone che appare a sinistra sulla facciata della Chiesa di Santa Maria di Collemaggio, a L’Aquila. Il campanile posto al fianco della chiesa, invece, risale al 1880 ed è opera dell’artista maglianese Tommaso di Lorenzo.
Il Quadrato Magico del SATOR
Nella parte superiore della facciata, elevata nel Seicento, si apre un finestrone di forme tardo-rinascimentali, formato da due semicolonne che sostengono una trabeazione orizzontale. Ai lati di tale finestrone sono murate due coppie di formelle duecentesche incassate entro cornici riccamente decorate con girali e foglie d’acanto, raffiguranti figure mostruose, animali e figure umane in rilievo. Nella prima formella sulla sinistra, tra le zampe della figura mostruosa rappresentata, è inciso il Quadrato Magico del SATOR. In realtà, si tratta più propriamente di un ROTAS, ovvero lo stesso palindromo scritto a cominciare dalla parola ROTAS anziché SATOR, come era in uso nei tempi più antichi, durante l’Impero Romano. I due bassorilievi sono sicuri resti di un cancello presbiteriale, probabilmente appartenente alla stessa Santa Lucia, e risalgono al XIII secolo.
Le prime notizie documentarie sull’Abbazia di Santa Maria Arabona risalgono all’anno 1208, quando essa viene citata in un atto di donazione. La sua fondazione, che dovette essere di poco antecedente, fu opera, secondo l’opinione più diffusa, di un gruppo di monaci Cistercensi provenienti dall’Abbazia dei Santi Vincenzo ed Anastasio, a Roma (meglio nota come Abbazia delle Tre Fontane); altri invece ritengono che la casa madre fu l’Abbazia di Casamari, a Veroli (FR). L’edificio sorse, con tutta probabilità, sul luogo dove precedentemente si trovava un tempio o un’ara sacrificale dedicata alla Dea Bona, da cui il termine “Arabona” (Ara Bonae). Il culto latino della dea in questione, analogo a quello greco per Demetra, era legato alla fertilità ed alle stagioni, e riveste un significato simbolico molto particolare, di cui abbiamo parlato nell’articolo dedicato ai culti della Grande Madre.
L’anno 1234, che segna l’ultimazione dei lavori di costruzione dell’abbazia, sotto il suo secondo abate, Santillo, segna anche l’inizio del periodo più prospero. Nel 1237, infatti, l’abate di Arabona insieme a quello di Casamari, viene chiamato ad arbitrare una controversia tra Valva e Sulmona: prova evidente del prestigio raggiunto. Nel 1257 ad Arabona viene annesso il cenobio di Santo Stefano ad Rivum Maris in Casalbordino; nello stesso periodo, altre due abbazie vengono inglobate sotto la sua giurisdizione: S. Maria di Melanico e S. Maria di Bucchianico, mentre la stessa Arabona genera un’abbazia figlia in terra di Puglia: Santa Maria di Sterpeto, presso Trani (BA).
Come molte altre abbazie cistercensi, però, anche Arabona comincerà a conoscere il declino nella seconda metà del XIV sec., e forse lo scioglimento, nello stesso periodo, dell’Ordine Templare, legato a doppio filo con quello Cistercense, non è estraneo a tale fenomeno diffuso di decadenza. Già in degrado nel 1330, subisce ulteriori danni nel 1349, a causa di un terremoto. Nel 1372 viene affidata da papa Gregorio XI ad un abate esterno; da qui alla commenda (XIV sec.) il passo fu breve. Nel 1587 l’abbazia viene affidata ai francescani conventuali del Collegio di San Bonaventura di Roma. Nel 1794 la struttura viene dichiarata Regio Patronato, mentre nel 1806 viene ceduta ad una famiglia privata. Il terremoto del 1915 fece ulteriori danni, e bisognerà attendere gli anni tra il 1948 ed il 1952 per assistere al restauro ed al consolidamento della chiesa. In seguito, l’edificio vene affidato alla comunità salesiana di Don Bosco per essere ceduta, nel 1998, alla Curia Vescovile di Chieti-Vasto.
La facciata in mattoni rossi, che evidenziano il contrasto con la chiara pietra locale, più antica, è frutto del restauro del 1948, eseguito sotto la direzione dell’architetto Chierici. In tale occasione venne aperto l’oculo circolare e venne riallocato l’antico portale con lunetta originale del XIV sec. Oggi questa porta conduce nel giardino esterno della chiesa, mentre l’entrata vera e propria avviene dal lato nord del transetto, attraverso una porta situata alla sinistra della torre campanaria. Questa porta, sormontata da un rosone, era detta originariamente “Porta dei Morti“, perché attraverso di essa anticamente si accedeva al cimitero, oggi non più esistente. L’interno, a tre navate, ricorda nel suo stile sobrio l’architettura delle grandi abbazie laziali di Casamari e Fossanova, da far ipotizzare l’intervento delle stesse maestranze. Sono da notare, accanto all’altare principale, due opere: il tabernacolo in pietra, sorretto da esili colonne (fine XIII – inizio XIV sec.), unico esemplare di questo tipo ancora esistente in Abruzzo, ed il candelabro per cero pasquale, riccamente decorato, e sormontato da 12 colonnine che simboleggiano i Dodici Apostoli. Una di queste, poi, si presenta binata con una sorta di “annodatura” al centro: un richiamo alle Colonne Annodate? Sul rialzo in marmo che separa la zona dell’altare dal resto della chiesa appaiono, a destra ed a sinistra, i simboli profondamente incisi nella pietra dell’Alfa e dell’Omega, il Principio e la Fine di tutte le cose.
L’abside presenta tre pregevoli affreschi: quello di sinistra è il più antico, e risale alla metà del XIV sec.; raffigura una santa dal bianco mantello, che regge con una mano un libro (chiuso) e con l’altra un fiore dal lungo stelo, mentre davanti a lei un frate Cistercense si prostra devotamente. Di ancora dubbia identificazione, potrebbe essere più probabilmente S. Elisabetta d’Ungheria, oppure S. Cunegonda di Lussemburgo o, infine, Santa Caterina d’Alessandria. L’affresco centrale raffigura la Crocifissione con la Madonna e San Giovanni. Nella parte destra, infine, abbiamo una Madonna con Bambino che tiene sulle ginocchia un cagnolino, simbolo di fedeltà: si tratta di un’iconografia piuttosto desueta e per questo molto rara.
Di notevole interesse anche la Cappella di San Rocco, che si apre alla destra dell’attuale ingresso. L’affresco nella lunetta rappresenta la Deposizione: il Cristo è ai piedi della Croce tra le braccia di Maria, mentre ai lati vi sono San Giovanni Battista (a sinistra) e Santa Maria Maddalena (a destra), raffigurata in abiti rinascimentali. Sotto, si trova la finestra che reca lo stemma dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme, che ha sede ufficiale nella cappella. Ai due lati della stessa, sono rappresentati San Sebastiano, a sinistra, e San Bernardo di Chiaravalle, a destra.
Il simbolo raffigurato a sinistra è più volte presente dentro e fuori l’abbazia, in diverse varianti. Esternamente, lo troviamo su dei conci inseriti al centro dei due costoloni che affiancano i portale d’ingresso. Quello di sinistra presenta il “ricciolo” irto di punte, che si avvolge verso sinistra, come nello schema che abbiamo qui ricostruito, mentre quello di destra lo ha doppio (quasi in forma di Tau), e presenta una specie di “S” avvolta sullo stelo centrale (un serpente?). Un altro esemplare si trova su una pietra a sagoma triangolare posta nel giardino. Presenta sempre i tre steli ritti ma il “ricciolo” superiore, semplice e spiraliforme, riavvolge verso destra. Lo ritroviamo anche all’interno, su una pietra pavimentale inserita davanti all’altare: esso presenta la doppia appendice e compare insieme ad altre insegne vescovili: il bastone pastorale e la mitria. Un quinto simbolo, del tutto simile a quello sulla pietra triangolare esterna, compare sull’architrave di una porta, evidenziato con della tintura rossa. Si tratta, con tutta probabilità, di un emblema intrinsecamente legato all’abbazia, affine a quello che compare in più punti dell’Abbazia di Morimondo, presso Milano.
Area 51, un argomento bello quanto curioso, se ne dicono tante su questo luogo, una domanda siamo sicuri che esista per davvero? o sono le solite trovate degli americani?